Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico, / ma nazione vivente, ma nazione europea: / e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti, / governanti impiegati di agrari, prefetti codini, / avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi, / funzionari liberali carogne come gli zii bigotti, / una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino! / Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci / pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti, / tra case coloniali scrostate ormai come chiese. / Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti, / proprio perché fosti cosciente, sei incosciente. / E solo perché sei cattolica, non puoi pensare / che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male. / Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
Caro lettore, con la stesura di Alla mia nazione nel 1959 (pubblicata poi nel ’61 in La religione del mio tempo), Pier Paolo Pasolini si oppone al processo di massificazione e omologazione di cui è vittima la borghesia italiana negli anni del boom economico e a cui, inizialmente, trova un rimedio nella vitalità del sottoproletariato romano, protagonista dei suoi romanzi come di alcune sue poesie e opere cinematografiche. La poesia denuncia la decadenza del suo tempo (e profeticamente anche del nostro), affrontando tematiche civili e politiche, che porteranno Pasolini a definire l’epoca che si profilava all’orizzonte e che si stava già manifestando, come la più grande forma di dittatura della storia. Il processo di omologazione massificata è dunque per l’intellettuale la più grande e pericolosa forma di dittatura legittima a cui l’Italia e il resto del mondo occidentale si stavano offrendo come vittime sacrificali, proprio dopo aver abolito la dittatura concreta rappresentata dai totalitarismi. Nella poetica civile pasoliniana, una forte rilevanza è assunta anche dal consumismo, una specie di “mostro” della nostra epoca che trova in Pasolini il paladino pronto a combatterlo con ogni mezzo, specialmente con la forza della parola. Non lo indignano soltanto i caratteri che il consumismo assume, ma in primo luogo il fatto che esso ha deturpato irrimediabilmente l'aspetto fisico dell'Italia, i suoi ambienti urbani e naturali, e ha modificato in profondità il carattere dei suoi abitanti: Pasolini vede in atto una completa «omologazione» della vita sociale. Tra i maggiori responsabili di questa degradazione, Pasolini indica la televisione e la scuola di massa, il Sessantotto e il suo antiautoritarismo. Ovviamente fu frainteso e subito attaccato dai nostalgici del Fascismo, e in Vie nuove, nel 1961, ne preciserà il concetto lui stesso: “I fascisti rimproverano per esempio a una mia poesia [Alla mia nazione] di essere offensiva alla patria, fino a sfiorare il reato di vilipendio. Salvo poi a perdonarmi – nei casi migliori – perché sono un poeta, cioè un matto. […] La lettera dice, sì: la mia patria è indegna di stima e merita di sprofondare nel suo mare, ma il vero significato è che, a essere indegna di stima, a meritare di sprofondare nel mare, è la borghesia reazionaria della mia patria, cioè la mia patria intesa come sede di una classe dominante, benpensante, ipocrita e disumana”. Pasolini non attacca l'Italia in quanto nazione e patria; anzi, ne evince quasi il suo voler essere un patriota, nonostante diversi episodi della sua vita potrebbero allontanarlo da questa condizione: nel '45 il fratello Guido, partigiano, viene ucciso in un oscuro episodio da gruppi di partigiani comunisti legati agli sloveni. L'invettiva pasoliniana si scaglia invece contro quella classe dominante – quella borghesia già menzionata poc'anzi – che proprio come la guerra, proprio come qualsiasi forma di dittatura, mieterà vittime, tra cui lo stesso Pasolini qualche anno dopo. Ma questa è un'altra storia.
Buona lettura.
Alla mia nazione – Pier Paolo Pasolini, 1959
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