Caro lettore, in una lettera indirizzata a Luigi XIV re di Francia per presentare Il Tartuffo (Tartuffe ou l'Imposteur, in lingua originale), Molière scrisse: “Il compito della commedia essendo quello di correggere gli uomini divertendoli, ho pensato che non avrei potuto far nulla di meglio, nella carica che ricopro, che muover guerra ai vizi del nostro tempo dipingendoli in modo ridicolo; e dal momento che l'ipocrisia è senza dubbio uno dei vizi più alla moda, più fastidiosi e più pericolosi, ho pensato, SIRE, che avrei reso un non piccolo servigio a tutte le persone dabbene del vostro regno preparando una commedia che descrivesse gli ipocriti smascherandone a dovere tutte le studiate messinscene di questa gente dall'onestà a oltranza, tutte le sotterranee birbonate di questi falsari della devozione, che si propongono di far cadere in trappola il prossimo loro con un finto zelo e una sofisticata carità”. Originariamente una farsa all'italiana in tre atti, l'opera venne rappresentata per la prima volta il 12 maggio 1664 a Versailles, alla presenza del re e di tutta la corte. Nonostante il grande successo – anzi, forse proprio per questo –, Luigi XIV ne proibì sin da subito qualsiasi rappresentazione pubblica. Il motivo fu presto compreso. È il 1664, un anno assai delicato per le questioni religiose in Francia: dalla diminuzione delle festività alla lotta contro il giansenismo. Dal canto suo, la commedia si fece portatrice di un'aspra satira contro l'ipocrisia della religiosità. Satira che non piacque affatto alla “cabala dei devoti”, ovvero il partito dei conservatori giansenisti vicino alla regina madre, Anna d'Austria, e al principe di Conti. Sotto l'emblema di una falsa devozione, il Tartuffo si fregia di belle parole, bei costumi, buone intenzioni e – soprattutto – di una fede encomiabile ma mistificatoria. Un “travestimento” che riuscirà ad ammaliare tanto la Signora Pernella (molto religiosa e devota) quanto suo figlio Orgone (interpretato da Molière), capofamiglia protettore prima di Tartuffo, e raggirato poi dallo stesso. Una benda invisibile copre gli occhi di Orgone. Solamente quando vedrà di persona sua moglie sedotta da Tartuffo allora capirà con chi ha a che fare realmente. Ma forse sarà troppo tardi... Nel 1667, Molière fu costretto a rivedere la commedia: gli atti divennero cinque (numero canonico dell'epoca), cambiò titolo in L'Impostore e cambiarono anche diversi nomi dei personaggi. E non solo: nella prima versione a trionfare era Tartuffo, nella seconda l'impostore verrà smascherato da un intervento ex machina di Sua Maestà in persona e poi imprigionato. Il Bene vince sul Male. Quell'ipocrisia tanto condannata da Molière – seppur non direttamente – ha alla fine trionfato: il mondo va bene così com'è. Ma fu tutto inutile: re Luigi rinnovò il suo divieto, pur compensando il commediografo con aperte attestazioni di stima (capocomico della compagnia del Re) e con il permesso delle recite private. Solamente nel 1669, esattamente il 5 febbraio, la questione si risolse in favore di Molière, grazie anche al fatto che il clima in ambito religioso era mutato (la Chiesa di Roma rinnovò la condanna del giansenismo). Quella sera stessa si riprese a rappresentare una tra le più riuscite commedie moleriane: il palcoscenico accoglieva di nuovo Il Tartuffo e il suo autore geniale. E da allora per sempre.
Buona lettura.
Il Tartuffo – Molière, 1664-1667
Commentaires