Caro lettore, se è giusto considerare la Grecia la culla della civiltà occidentale, è altrettanto giusto considerare Roma l'ombelico e l'epicentro di una cultura – come quella post bellica del secondo dopo guerra – in continuo fervore. Negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, la Capitale fu letteralmente “invasa” da scrittori, registi, attori, sceneggiatori, poeti e giornalisti provenienti da qualsiasi parte d'Italia e del mondo. Erano gli anni in cui si sentiva il bisogno di ricominciare: il '47 con il Premio Strega istituito da Maria Bellonci e Guido Alberti, vinto da Ennio Flaiano e il suo Tempo di uccidere; l'abolizione delle case chiuse il 20 settembre 1958; le Olimpiadi del '60 e il neonato quartiere Olimpia. La Roma di Moravia ed Elsa Morante; la Roma prima amata e poi odiata di Anna Maria Ortese; la Roma di Landolfi, Manganelli, Malerba, Curzio Malaparte; la Roma di De Sica e Zavattini immersa nel neorealismo. “La città eterna attraverso gli occhi dei grandi narratori”, recita così il sottotitolo scelto da Silvana Cirillo per il suo libro Roma punto e capo. Istantanea di una città divisa fra la tranquillità di Piazza del Popolo e la vita notturna di Via Veneto, adatta più che altro alla borghesia e alle star – a detta di Moravia. Roma è sempre Roma, ma in quegli anni ancora di più. Sette generazioni, tante ce ne vogliono affinché ci si possa considerare romano, e ciò non basta: Trastevere e San Pietro rappresentano le due fazioni principali, e chi sia il romano più autentico fra un trasteverino e un borghigiano (abitante dei vecchi borghi di San Pietro) è una disputa oggi ancora in atto. Ma se si pensa che una volta c'era più differenza tra un trasteverino e un borghigiano che fra un siciliano e un piemontese, si capisce bene quanto sia complicata la questione. La Roma di Piazza Navona il 6 gennaio e di una pioggia perenne che da sempre accompagna la notte dell'Epifania. La Roma di Gadda e del suo “Pasticciaccio” figlio di una Storia e una società barocca. La Roma liberata nel '44 dal generale Cork e le truppe americane, che per entrare in città – su consiglio di Malaparte – scelse di percorrere la via Appia antica, considerata la strada più bella. E di strade ne è densa la Roma di Pasolini: le strade di Ragazzi di Vita, di Accattone, di Mamma Roma, dove la natura più umana la si trova solamente negli occhi di una prostituta o di un ladruncolo di periferia. Questo (e molto altro) è in sintesi Roma punto e a capo, manifesto di una variegata e sorprendente Mamma Roma, ferita negli anni bui della guerra e poi rinata, ribelle, negli anni Sessanta. Perché, fino a quando esisterà Roma, ci sarà ancora qualche speranza in questo mondo.
Buona lettura.
Roma punto e a capo, di Silvana Cirillo – Edizioni Ponte Sisto, 2017
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