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Io sono l'altro

  • Immagine del redattore: Tommaso Guernacci
    Tommaso Guernacci
  • 27 mag 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Caro lettore, il diverso ci spaventa. O meglio, “l'altro” ci spaventa, ciò che non siamo noi. E ci spaventa non perché c'è effettivamente qualcosa di spaventoso, bensì perché non riusciamo (o non vogliamo?) immedesimarci nell'altro. Cosa che invece è riuscita benissimo a Niccolò Fabi, tornato sulle scene musicali dopo tre anni dall'ultima volta. Io sono l'altro, questo il titolo dell'ultimo singolo, è il primo brano estratto dal nuovo disco, Tradizione e tradimento, in uscita il prossimo 11 ottobre. Niccolò Fabi è tornato (finalmente verrebbe da dire), e lo ha fatto a modo suo, quasi sussurrando, stando attendo a non fare troppo rumore. Ma dopo un'intera estate piena di spazzatura sotto forma di canzoni passate in radio, l'entrare in punta di piedi di Niccolò è stato quasi salvifico per le orecchie dei più e per chi sa ancora distinguere la necessità dal niente. «Esiste un'espressione: “In Lak'ech”, che nella cultura Maya non è solo un saluto, ma anche una visione della vita. Può essere tradotta come “io sono un altro te” o “tu sei un altro me”. Che si parta dalla filosofia o dalla fisica quantistica si arriva sempre alla conclusione che l'altro è imprescindibile nella nostra vita e che siamo solo particelle di un tutto insondabile. Allora l'empatia diventa non solo un dovere etico, ma l'unica modalità per sopravvivere, l'unica materia che non dovremmo mai dimenticarci di insegnare nelle scuole. Conoscere e praticare i punti di vista degli altri è una grammatica esistenziale, come riuscire a indossare i loro vestiti, perché sono stati o saranno i nostri in un altro tempo della vita» - così il cantautore romano ha presentato il brano sui propri social ufficiali. Tutti hanno una storia da raccontare, da essere ascoltata, da capire, un vissuto da rispettare. Noi invece guardiamo i vestiti e giudichiamo, sempre pronti a puntare il dito. Il pensiero degli altri troppo spesso non conta nulla e altrettanto spesso l'essere altro genera astio, invidia. Che brutta parola. “Sono quello che ti anticipa al parcheggio / e ti ritarda la partenza / il marito della donna di cui ti sei innamorato / sono quello che hanno assunto / quando ti hanno licenziato. / Sono quello che ti sembra più sereno / perché è nato fortunato / o solo perché ha vent'anni in meno. / Sono il padre del bambino handicappato / che sta in classe con tuo figlio. / Quelli che vedi sono solo i miei vestiti / adesso vacci a fare un giro / e poi mi dici”. Giudicare è una delle cose che ci riesce meglio, fateci caso, un esercizio di esistenza quasi giornaliero. Nell'altro troviamo gran parte delle giustificazioni dei nostri fallimenti, come se tutto ciò in cui non riusciamo sia colpa sempre di qualcun altro e mai nostra. Nell'altro c'è sempre qualcosa di sbagliato. Ci guardiamo allo specchio e vediamo solo noi stessi, non riusciamo ad andare oltre, a porci sulla stessa lunghezza d'onda dell'altro. Ma poco male, perché volenti o nolenti siamo tutti sotto lo stesso cielo, e in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi contesto ci si trova, saremo sempre “l'altro” di qualcun altro.

Buon ascolto.

Io sono l'altro – Niccolò Fabi, 2019




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