Caro lettore, considerato ai più il massimo esponente del cinema western made in USA e uno dei più grandi registi della storia del cinema, John Ford – vincitore in carriera di ben 4 Oscar alla regia (record ancora imbattuto) – è l'autore del film-capolavoro Sentieri selvaggi (The Searchers, in lingua originale). Tratto dall'omonimo romanzo di Alan Le May del 1954, il film è ispirato a una storia vera: il caso Cynthia Ann Parker, una bambina rapita dai Comanche che sposatasi un capo tribù visse con gli Indiani per 24 anni. Texas, 1868. Ethan Edwards, un “duro come il paese che sta attraversando” (così lo descrive lo sceneggiatore Frank S. Nugent), interpretato magistralmente da John Wayne – l'attore simbolo della filmografia di Ford (21 film girati assieme) e di tutto il genere western –, torna alla fattoria del fratello Aaron e di sua moglie Martha a tre anni dalla fine della guerra di secessione. Assalita la casa e trucidata quasi tutta la famiglia di Ethan, i Comanche rapiscono la giovane nipote Debbie. Ethan e Martin, figlioccio adottivo con geni pellerossa salvato dagli indiani quando era in fasce, si mettono alla ricerca della bambina. Da qui in avanti la pellicola si snoda in diverse fasi, con salti temporali anche di svariati anni. Finalmente ritrovata e ormai adolescente, Debbie sarà costretta a scegliere se continuare la sua vita con i Comanche, con i quali è perfettamente integrata, o se fare ritorno a casa assieme allo zio e a Martin. Il finale sancisce la circolarità del film: la porta della casa della famiglia Edwards che si chiude in campo medio nei titoli di coda è la stessa porta che si apre nei titoli di testa. In Sentieri selvaggi, mozzafiato sono le ambientazioni: con campi lunghi che si stagliano sulla straordinaria Monument Walley, situata tra Arizona e Utah. Curiosità: un punto della Walley in cui il regista girò una scena notturna, è tutt'ora oggi chiamato John Ford's Point. La terra rossa del deserto americano domina l'intero film, così come l'odio e il disgusto. Ford lascia fuori dalla vista la violenza del passaggio dei Comanche (in scena non compare nemmeno un cadavere; il corpo abusato di Martha è al buio della rimessa), ma la brutalità del massacro la si intuisce dai volti in primo piano di Ethan e Martin. John Wayne è il western in persona (come lo stesso Ford d'altronde), l'eroe di cui in quel momento il genere tutto aveva bisogno. Un genere, quello americano, che da lì a pochi anni giungerà al termine, lasciando spazio al suo alter ego più “europeo” e meno epico. Epico come il viaggio che compie Ethan per ritrovare la nipotina rapita; spinto solo dall'odio verso i pellerossa (all'epoca della sua uscita il film fu accusato di razzismo) e da nessun altro ideale. Un viaggio che non sembra mai giungere alla meta desiderata, che costringe i suoi autori a ricominciare sempre da capo; un peregrinare come Ulisse nel viaggio omerico: la ricerca di una Terra Promessa da (ri)consegnare a Debbie. Terra Promessa sulla quale è basata tutta la poetica di John Ford (non a caso Ethan, Aaron e Martha sono nomi biblici).
Buona visione.
Sentieri selvaggi, di John Ford – USA, 1956
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